La gestione della pandemia da CoViD-19, non ancora conclusa ma faticosamente in via di normalizzazione, ha generato una serie di dinamiche “accessorie” con cui siamo ormai entrati in dolorosa confidenza. La più popolare è sicuramente quella del lockdown, un periodo di riduzione forzata di mobilità e socialità interpersonale studiato per fiaccare l’aumento dei contagi. Gli italiani ne hanno sperimentati vari – il primo, molto duro, seguito da altri con varie gradazioni di intensità – ma c’è stato un comportamento che ha accomunato tutti i confinamenti: la corsa all’approvvigionamento del lievito, unito alla rinnovata passione per i lievitati “fatti in casa”.
Questo microrganismo, fondamentale per alcune produzioni tipiche del nostro background alimentare come pane, dolci, vino e birra, sembra dunque definitivamente tornato in auge: se fino a pochi mesi fa veniva chiamato in causa solo per contestargli responsabilità di vario genere (“fa ingrassare”, “non è naturale”, “provoca intolleranze”), oggi abbiamo decisamente riscoperto la centralità dell’ingrediente e – di conseguenza – quella di un settore sano, all’avanguardia per innovazione tecnologica nonché modello per quell’economia circolare che oggi sembra essere in cima a ogni discorso.
Non sono in tanti, infatti, a sapere che il lievito è “vivo”, e deriva da un coprodotto di origine agricola denominato melasso. La trasformazione che porta il melasso a diventare lievito è del tutto naturale: le aziende possono accompagnarla e favorirla, ma non forzarne i tempi. Ecco perché melasso e lievito sono indissolubilmente legati: la coltivazione di quest’ultimo consiste infatti in un processo continuo nel quale persino le sostanze di scarto (acque reflue, materie organiche o non assimilabili) vengono poi destinate alla produzione di fertilizzanti, mangimi, energia, cosmetica e farmaceutica.
Proprio il melasso è però al centro di una nuova problematica che l’industria del lievito si troverà a dover affrontare a breve: all’interno della discussione odierna sulle energie rinnovabili post-2020, infatti, la Commissione Europea sta discutendo sulla possibilità di annoverare il melasso tra i biocarburi avanzati, inclusione che consentirebbe di favorirne l’impiego per produrre bioetanolo. La scarsità della materia prima, però, porrebbe anche un drastico problema di approvvigionamento al settore del lievito, che non può affrancarsi dall’uso del melasso: l’ingrediente diverrebbe dunque conteso tra due industrie, violando, secondo il Presidente del Gruppo Lievito di Assitol Paolo Grechi, il principio del food first e “imponendo una pericolosa competizione tra cibo ed energia”. Per costruire una convivenza pacifica tra filiera dell’alimentare ed energetica vanno perciò identificati materiali alternativi al melasso, peraltro già disponibili, così da lasciare agli italiani il sapore, il profumo e la croccantezza del pane che tanto li ha aiutati durante questi mesi difficili.